La teoria della materia oscura nell’universo

Solo una piccola parte delle galassie è costituita da particelle a noi note. Il resto è fatto di un’entità “oscura”.
La materia che vediamo, infatti, è solo una piccola parte di quella di cui è fatto il cosmo: il resto non riusciamo a vederlo.
Ce lo dicono tante cose, ma la prova decisiva viene dalle galassie a spirale: al loro interno, infatti, le stelle più lontane dal nucleo orbitano più o meno alla stessa velocità di quelle più centrali.
Eppure noi vediamo molte più stelle (cioè più massa) nel nucleo, dove quindi la gravità dovrebbe essere più forte e far orbitare le stelle più velocemente.
La spiegazione più logica di questo mistero è che attorno alle galassie ci sia un alone di massa che non si vede, ma che fa sentire la sua gravità: questa entità è stata chiamata “materia oscura”, e i calcoli dicono che è addirittura l’84% della materia presente nell’universo.
Si pensa che consista di particelle diverse dai “soliti” protoni, neutroni ed elettroni a noi noti. I fisici per il momento le chiamano Wimp (Weakly Interacting Massive Particles, cioè “particelle con massa poco interagenti”), perché questi presunti corpuscoli non emettono (né riflettono) luce e attraversano come fantasmi la materia ordinaria.
Ogni tanto, però, qualche rara collisione potrebbe esserci, e vari esperimenti in tutto il mondo (in Italia, nei laboratori del Gran Sasso) cercano di “fotografare” questi eventi per capire qualcosa sulle Wimp.
Per ora non c’è riuscito nessuno, e non manca chi crede che si tratti di un abbaglio. Secondo il fisico israeliano Mordehai Milgrom, per esempio, la materia oscura non esiste affatto: è la gravità che bisognerebbe riscrivere. Ai margini delle galassie, secondo lui, questa forza sarebbe più intensa di quanto dicono le attuali teorie.
Commovente il racconto non ne avevo mai sentito parlare.
Ti sei dimenticato di citare quello che hanno fatto nei campi di concentramento i tuoi amichetti tedeschi.
Uno che 2019 ancora osanna quella merda di gente può fare solo pena.
Ha avuto la fine che meitava.