Via del Corso, le origini e la storia della strada più famosa di Roma

Con un tracciato di circa un km e mezzo che corre tra Piazza Venezia e Piazza del Popolo, Via del Corso è la più celebre strada del centro storico di Roma.
Già esistente in epoca romana, originariamente era costituita dal tratto sub-urbano della Via Flaminia, nel III sec. d.C. assunse il nome di Via Lata, nota così anche nel medioevo nel tratto tra Piazza Venezia e Piazza Colonna.
In età imperiale era una via poco abitata ma costellata dalle imponenti tombe di personaggi illustri, tra cui quelle dell’imperatore Augusto e di Nerone. In quanto parte del campo Marzio fu spesso al centro dei piani di espansione urbanistica della città, ma gran parte degli edifici antichi, compresi ben quattro archi trionfali, scomparvero in età medievale, inglobati nelle nuove edificazioni o spogliati dei preziosi materiali ed utilizzati come cave.
Poco è giunto dunque fino a noi, ad eccezione della colonna Aureliana e della tomba di Augusto, e per lo più nel Medioevo la Via Lata-Flaminia assunse una veste rurale in uno stato di completo abbandono, durato circa 700 anni.
Soltanto nel XV secolo l’antica strada tornò ad avere un ruolo centrale nell’urbanistica della città, ad opera dei pontefici che la considerarono un’importante via di comunicazione con il porto fluviale di Ripetta. Per decreto papale, nel 1467, dopo una sistemazione del tracciato della strada, si decise che tutte le attività e le corse del Carnevale, molto seguite dai romani e fino ad allora legate a Monte Testaccio, fossero trasferite proprio sulla Via Lata.
Il nome cambiò in via del Corso, con evidente allusione alle corse carnevalesche, che avevano come partecipanti i cavalli e non solo. Involontari protagonisti delle corse erano in primo luogo gli ebrei, costretti a correre tra le ingiurie, ma correvano anche ragazzi, asini e bufali.
Nella sua magnificenza, nelle attività che lo caratterizzavano e nella vera "pazzia" che animava il popolo romano, esso offuscava quello di tutte le altre città d'Italia, Venezia compresa.
Una targa del 1665, ancora oggi visibile all’altezza dell’incrocio con Via della Vite, ricorda coma Papa Alessandro VII rese la via ‘libera e dritta per la comodità pubblica’, qualificando indicativamente Via del Corso come Urbis Hippodromum, l’ippodromo della città.
Lo spettacolo carnevalesco delle corse fu abolito solo nel 1883 dal re, in seguito ad un incidente mortale occorso ad un ragazzo che, nell'attraversare la strada, fu travolto dai cavalli sotto gli occhi della regina Margherita.
Nel 1736 il Corso venne livellato e per la prima volta illuminato a gas, la notte del 6 gennaio 1854. Dovette essere uno spettacolo straordinario per gli occhi dei Romani.
Si emanarono poi provvedimenti per trasferire in altro luogo i macellai, i tripparoli, i fegatai, i friggitori, i pollaroli, al fine di salvaguardare la decenza della via destinata al pubblico passeggio. Si aprirono allora negozi di confezioni e di alta moda, librerie, antiquari, gioiellerie.
Nell'ultimo Ottocento divenne così di rito la "trottata" al Corso, una sfilata di carrozze nelle quali sedevano nobili donne con elegantissimi abiti.
All'indomani dell'assassinio del re Umberto I, avvenuto a Monza il 30 luglio 1900, la via fu battezzata "Corso Umberto I"; nel 1944, in seguito alla rinuncia di Vittorio Emanuele III alle prerogative sovrane, si ebbe il "Corso del Popolo", ma due anni dopo si ritornò al vecchio toponimo quattrocentesco di via del Corso.
Ho appena appreso (fonte: Corriere della Sera) che alcuni scienziati europei stanno discutendo circa la sicurezza ambientale delle centrali nucleari a fissione. Uno dei nodi da sciogliere per accedere eventualmente ai finanziamenti europei è l'analisi di costi/benefici, estesa all'intero ciclo di vita delle centrali, incluso il loro smantellamento ed il deposito delle scorie.
Inoltre dovrebbero dirci da quali Paesi esteri verrebbe importato il materiale fissile.
Renato Perago
È veramente incredibile questa storia che guarda caso esce fuori solo dopo la morte di Califano che non può più essere qui a dare la sua versione dei fatti. Tra gli autori risultano in quattro,compreso Califano, che tra l'altro incise anche una sua versione al maschile. La stessa Mia Martini disse che il testo,non un rigo, fu riscritto da Califano. Trovo veramente poco signorile, oserei dire non in linea con la grandezza della poesia che si esprime in questo straordinario pezzo, il voler disconoscere i meriti artistici di Califano, il voler stilare percentuali tra gli autori, tra chi ha scritto un rigo chi due e chi tre.
Conoscevo da tempo Universo25 e Calhoun, di cui ho letto l'originale.
Ovunque sembra si sia per scontata una nozione cruciale... Che cos'è, in dettaglio, un ruolo sociale?
A.V.